Ventitré anni fa l'attentato alle Twin Towers cambiava il mondo per sempre. Quel giorno persero la vita migliaia di innocenti e si aprì una nuova guerra al terrorismo islamico.
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L’11 settembre 2001 è una data indelebile nella mente di tutti: due aerei si schiantarono contro le Torri Gemelle del World Trade Center di New York, un terzo aereo si lanciò sul Pentagono (ossia sull’edificio del comando militare degli Stati Uniti) e un quarto precipitò su un campo nello stato americano della Pennsylvania.
Tutti e quattro gli aerei erano stati dirottati dai terroristi islamici dell’organizzazione chiamata al Qaeda, controllata dal criminale internazionale Bin Laden, già coinvolto nel 1998 in attentati terroristici contro le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania.
Le vittime furono 2.083, tra passeggeri degli aerei e persone che in quel momento erano al lavoro nelle Twin Towers (“torri gemelle”, appunto).
Televisioni, radio, giornali, internet hanno reso partecipe tutto il pianeta di quello che accadeva tramite filmati in diretta. Migliaia di persone che si trovavano nelle vicinanze della tragedia hanno aiutato i sopravvissuti, incastrati sotto le macerie. Milioni e milioni di persone hanno vissuto quelle drammatiche ore in diretta internet e tv. In quegli istanti stava cambiando il mondo per come lo conoscevamo!
L’astronauta americano Frank Culbertson, che in quelle ore era in orbita intorno alla Terra a bordo dell‘International Space Station, in compagnia di due cosmonauti russi, non sapendo cosa stesse succedendo a terra, mentre passava con la stazione spaziale proprio sopra New York, ha fatto un video del fumo che si alzava sopra Manhattan.
Molti di voi non erano ancora nati o erano piccolissimi, ma quell’evento micidiale ha cambiato per sempre la storia del mondo perché, in seguito a quell’attacco dei terroristi, solo un mese dopo (il 7 ottobre 2001), l’America ha dapprima invaso l’Afghanistan, paese dell’Asia Centrale ritenuto la base dei terroristi di al Qaeda e rifugio del loro capo Bin Laden. E poi, nel 2003, ha invaso anche l’Iraq perché, mentendo, dicevano che il dittatore iracheno Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa (ossia potentissime) e aveva finanziato gli attentati di Bin Laden.
Oggi, dopo ben 22 anni, la situazione in Afghanistan è ancora senza pace – il ritorno dei talebani ha di nuovo cancellato conquiste politiche ottenute nel campo dei diritti, soprattutto per quanto riguarda le donne – e lo stesso accade in Iraq. E negli ultimi anni un nuovo terribile attore ha preso il posto di al Qaeda: si chiama ISIS.
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A Napoli c’è un pronto soccorso per tartarughe in difficoltà, dove vengono visitate, curate e a volte anche operate. La maggior parte dei loro problemi deriva dalla plastica che proprio noi umani gettiamo in mare.
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«L’ingestione della plastica ormai è un problema molto comune e il 90% delle tartarughe di cui ci prendiamo cura defeca regolarmente frammenti di plastica. Sì, hai capito bene: nella cacca delle nostre tartarughe troviamo plastica». Parola di Sandra Hochscheid, responsabile del Centro Ricerche Tartarughe Marine di Napoli (turtlepoint.it). Un pronto soccorso per le tartarughe in difficoltà.
Spesso sono i pescatori a trovarle, in mare o spiaggiate sulla costa, e a portarle in questo ospedale speciale dove al posto dei letti ci sono vasche per la convalescenza delle povere tartarughe che hanno bisogno di cure perché hanno ingerito plastiche, ami, lenze o sono gravemente ferite.
«Quando arrivano in ambulatorio» spiega la biologa marina «vengono visitate: prelievo del sangue, esame radiologico…». La radiografia serve a svelare la presenza di un amo da pesca o altro ancora nello stomaco. «E una volta individuato il problema, prescriviamo il trattamento: l’antibiotico a chi ha la polmonite, la stecca a un arto in caso di frattura, l’intervento chirurgico se bisogna rimuovere una lenza ingerita e bloccata nel tratto intestinale…». L’obiettivo è curarle per poterle rilasciare in mare.
Tra le loro pazienti ci sono state anche Fortunella, Ottavia, Federica e Aprea: tartarughe Caretta caretta, la specie più comune nel Mediterraneo. Sono piuttosto longeve: vivono oltre 60 anni, forse addirittura 100. «Quando sono giovani, fino ai 15 anni circa, si avventurano in mare aperto per mangiare» racconta Hochscheid. Plancton e meduse sono i loro piatti preferiti! Poi crescendo, da adulte, si aggirano sui fondali in acque basse a caccia di granchi e molluschi: «Hanno infatti delle mandibole molto forti con cui riescono a rompere conchiglie anche molto grandi».
«Molti ragazzi e ragazze che vengono a visitare il nostro Centro della Stazione Zoologica Anton Dohrn, mi dicono che anche loro da grandi vorrebbero aiutare le tartarughe marine» racconta entusiasta Sandra Hochscheid.
«Il consiglio che do loro e do anche a voi focusini è di coltivare la passione e il rispetto per la natura e studiare. Biologia marina, zoologia, medicina veterinaria. Io, per esempio, ho una laurea in biologia marina e il dottorato di ricerca in zoologia e prima di arrivare a Napoli, ho studiato le tartarughe marine in giro per il mondo: Scozia, Sud Africa, Regno Unito».
Le tartarughe marine, ma non solo, hanno bisogno anche di noi e della nostra solidarietà! «Cominciamo tutti a rispettare di più l’ambiente e a non inquinare. Perché in mare vogliamo vedere tartarughe, pesci e meduse e non buste, tappi e bottiglie, insomma rifiuti!»
A proposito, se dovesse capitare anche a te di trovare una tartaruga bisognosa di cure, contatta la Guardia Costiera al 1530 che provvederà ad allertare il centro più vicino.
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La Superluna di settembre 2024 è prevista per mercoledì 18 e raggiungerà il picco massimo alle 04:34 del mattino. Si verificherà insieme a un'eclissi parziale durante la quale il nostro satellite sarà in parte oscurato dall'ombra della Terra.
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Nella notte tra martedì 17 e mercoledì 18 settembre 2024 è prevista una Superluna, una luna piena, che si verificherà insieme a un’eclissi parziale del nostro satellite. Si chiama anche Luna piena del Raccolto ed è un fenomeno davvero emozionate da osservare, a patto naturalmente che il cielo sia sereno: potresti addirittura provare a convincere i tuoi genitori a svegliarvi tutti attorno alle 4:00 del mattino! Se invece non siete dell’idea di perdervi una notte di sonno, potete sempre riguardarvi l’intero spettacolo sui canali YouTube dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica).
Ma cosa significa Superluna? Il nostro satellite ovviamente non può cambiare dimensione da un giorno all’altro, ma se lo guarderai in quella notte, o in quella precedente e quelle immediatamente successive, ti accorgerai che apparirà più grande e luminoso del solito. La ragione è che sta transitando molto vicino alla Terra.
La Luna piena si verificherà il 18 settembre 2024 e raggiungerà il suo picco massimo attorno alle 04:34 del mattino. Sempre più spesso viene chiamata anche Superluna, ma devi sapere che non si tratta di un termine scientifico. È più un’espressione di uso comune utilizzata per la prima volta da Richard Nolle nel 1979, per indicare una luna che raggiungeva almeno il 90% del suo massimo perigeo possibile.
Come forse già saprai, il perigeo è la posizione occupata dal satellite quando si trova nel punto della sua orbita più vicino alla Terra. Secondo la definizione di Nolle, affinché si possa parlare di Superluna, il centro del nostro satellite deve trovarsi a meno di 360.000 km di distanza dal centro della Terra.
La prossima Superluna si verificherà il 17 ottobre 2024 e sarà chiamata anche Luna piena del Cacciatore.
In contemporanea alla Luna piena di settembre 2024, si verificherà anche un’eclissi parziale: cosa significa? Prima di tutto, devi sapere che affinché questo fenomeno possa verificarsi, la Terra deve trovarsi tra il Sole e la Luna. In questo modo, il nostro pianeta illuminato dai raggi solari proietterà il suo cono d’ombra sulla superficie lunare. In base a quanto l’allineamento tra i tre corpi celesti è preciso, potremo assistere a un’eclissi totale, parziale o penombrale.
Durante un’eclissi totale di Luna, questa appare spesso di colore rosso sangue, ma non sarà questo il caso. Si verificherà piuttosto solo un parziale oscuramento del disco lunare che inizierà alle 02:40 del mattino e proseguirà fino alle 06:30 di mercoledì 18 settembre. L’eclissi parziale raggiungerà il suo picco massimo attorno alle 04:44 del mattino.
Ma come mai quella del 18 settembre si chiamerà anche Luna piena del Raccolto? Di nuovo, non siamo di fronte a un termine scientifico, ma al nome che le è stato dato dai popoli nativi americani (quelli che erroneamente chiamiamo indiani d’America). Si riferisce alla luna piena più vicina all’equinozio d’autunno che quest’anno sarà il 22 settembre. Nella maggior parte dei casi quindi indica quella di settembre, ma ogni tre anni, la luna del Raccolto si verifica a ottobre.
In questo periodo dell’anno infatti iniziava il periodo del raccolto e la luna piena, grazie alla luce che emanava nel cielo, favoriva il lavoro nei campi anche durante la notte. A volte viene chiamata anche Luna del Mais, perché è uno dei principali cereali che venivano raccolti a settembre.
Per vedere lo spettacolo della Superluna di settembre e dell’eclissi parziale è sufficiente alzare gli occhi al cielo in direzione della Luna nelle prime ore del mattino di mercoledì 18 settembre 2024. Dovrai però assicurarti di trovarti in un luogo senza troppo inquinamento luminoso, in modo da poter vedere per bene il nostro satellite illuminato dal sole e l’ombra proiettata dalla Terra. Non servono invece occhiali o protezioni speciali per guardarla, a differenza di quanto accade con l’eclissi di sole, ma può esserti d’aiuto un cannocchiale o un telescopio per vedere ancora meglio tutto quello che accade nel cielo.
Se invece non riuscirai ad alzarti nel pieno della notte, potrai comunque riguardare tutto qui:
FONTE: INAF;
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Facciamo la pipì per permettere al nostro corpo di espellere le scorie filtrate dai reni, ma quanti litri ne produciamo al giorno? E di che colore deve essere di preciso? Scopriamolo insieme!
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Ehm, dovrei assentarmi un attimo. Prof posso uscire due minuti? Posso usare il tuo bagno? Mi reco ai servizi… Questi, e molti altri, sono i modi fantasiosi che escogitiamo per non dire a gran voce “Mi scappa la pipì!”. E non è solo un bisogno primario. Infatti c’è chi ritiene questo liquido preziosissimo e chi ci vede, perfino, il futuro delle energie rinnovabili!
La “minzione” è il processo attraverso il quale il nostro corpo espelle le scorie filtrate dai reni. L’urina viene prima raccolta nella vescica e poi liberata attraverso l’uretra.
Principalmente di acqua, per circa il 95% del totale, e in minima parte di urea (2,5%), sali minerali ed enzimi (2,5%).
Il colore giallo paglierino è dovuto all’urocromo ma, in base all’alimentazione e allo stato di salute, la pipì può essere di molti altri colori:
L’essere umano fa circa 2 litri di pipì al giorno. Un po’ di più di un cane di grossa taglia, che ne fa circa 1,3 litri. L’animale che ne produce di più è probabilmente l’elefante, con ben 49 litri al giorno, mentre un cavallo arriva “solo” a 8 litri. Quanta ne fa il tuo gatto? 1,8 decilitri.
Una vescica umana ha una capienza media di 200-400 millilitri e quando è piena per metà si inizia a sentire il bisogno di andare a urinare. Se vi sembra di scoppiare tranquilli, non può accadere: ve la farete addosso prima!
Sono molte le storie di persone che, in condizioni estreme, hanno bevuto la propria urina per non morire disidratati. In realtà la scienza parla chiaro: farlo provoca danni al nostro corpo ed equivale a bere acqua di mare… Bleah!
La pipì non è certo un argomento di cui amiamo parlare a tavola o su cui possiamo fare un’amabile conversazione con un estraneo. Eppure nel corso dei secoli ha rappresentato un elemento con cui gli uomini si sono spesso scontrati:
Gli Antichi Romani usavano la pipì per lavare la biancheria e per l’igiene orale: la ritenevano così preziosa che fu tassata!
I cavalieri medievali dovevano togliersi la pesante armatura ogni volta, perché se si bagnava si arrugginiva velocemente…Che faticaccia!
Nel 1917 l’artista francese Marcel Duchamp presenta la sua opera d’arte: un orinatoio!
Nel 2013 alcuni scienziati inglesi hanno sviluppato una cella a combustibile in grado di ricavare energia elettrica dai batteri presenti nell’urina. Potremo unire l’utile al dilettevole: smartphone carico e vescica… ah, leggera!
Nello Spazio non si butta via niente! La pipì che fanno gli astronauti, infatti, viene raccolta, depurata da una macchina e trasformata in preziosissima acqua potabile. Come dice scherzando Samantha Cristoforetti: «Il caffè di ieri diventa il caffè di domani!».
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I miei dicono di sorridere nelle foto, ma io non ci riesco. Lo ha chiesto Carmen al nostro Doc Ste, ovvero lo psicopedagogista Stefano Rossi, che gli ha risposto così.
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Carmen ha scritto al nostro Doc Ste, lo psicopedagogista Stefano Rossi, per chiedere un consiglio che sembra banale, ma non lo è. Leggi qui perché
Cara Carmen, mi sembra di leggere nella tua domanda una questione non banale: perché devo essere sempre felice e sorridente? Non ho diritto di essere triste, ogni tanto? Lo psicologo americano Paul Ekman ha dedicato la sua vita allo studio delle emozioni. Nel farlo, ha girato il mondo analizzando le espressioni facciali delle persone.
Da questo studio è emerso che ci sono sei emozioni universali, comuni a tutti i popoli della terra: felicità, stupore, rabbia, paura, tristezza, disgusto.
Quando i tuoi genitori dicono: “Fai un bel sorriso”, “Non essere triste” oppure “Non essere preoccupata”, lo dicono per il tuo bene. Forse però non sanno (e glielo devi spiegare tu) che tutte le emozioni sono nostre amiche. Immagina il tuo cuore come il cruscotto di un’auto.
Le emozioni sono spie che si accendono per avvertirci e venire in nostro soccorso. La spia del disgusto, da migliaia di anni, ci impedisce di ingerire sostanze nocive al nostro organismo; quella della paura ci suggerisce di stare attenti; la spia della rabbia ci sprona a far sentire la nostra voce; e quella della tristezza ci avverte che qualcosa a cui teniamo si sta allontanando.
Questo significa che è scorretto dividere le emozioni in positive e negative: ciascuno di noi ha diritto di essere felice, ma ha anche diritto di provare paura, rabbia, tristezza e disgusto. Invece di negare le tue emozioni, mamma e papà possono dirti: “Mi aiuti a capire come ti senti?”. Insieme scoprirete il messaggio di saggezza contenuto nelle emozioni che provi.
Il consiglio di doc Ste: LE EMOZIONI SONO NOSTRE AMICHE
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Tanto calcio ma anche ginnastica ritmica, equitazione e automobilismo
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Ma senza i genitori e tutte le loro regole si starebbe meglio o peggio? Ci siamo chiesti cosa vorremmo cambiare e quando invece non potremmo proprio fare a meno di mamma o papà.
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Vivono tra noi. Vivono con noi. Ce li troviamo ovunque. In casa. A scuola. Per strada. Sui social. Non ci mollano un attimo. Ci controllano. Ci squadrano dall’alto verso il basso. Ci interrogano. Ci dicono che cosa fare e che cosa non fare. Che cosa è bene e che cosa non è bene. Quando svegliarsi e quando andare a letto. Ci impongono orari, abitudini, regole! Dicono cose incomprensibili, mostrano look imbarazzanti e faticano a capire la differenza tra una caffettiera e uno smartphone.
Non vengono da un altro pianeta, ma spesso ci sembrano degli alieni. Sì, stiamo parlando proprio di loro: degli adulti. Specie che conosciamo molto bene. Ma, detto tra noi, se ne potrebbe fare a meno? Probabilmente no, ma ci siamo comunque divertiti a fare il gioco del “Facciamo finta che…”. E abbiamo fatto finta che attorno a noi ci fosse un mondo completamente senza adulti. Il risultato? Tutto da leggere, prima di diventare troppo grandi!
Faccio quello che voglio, faccio quello che mi va… Eccola qua, direttamente dal tormentone del 2018 di Fabio Rovazzi, quella che potrebbe essere la “Costituzione” del mondo svuotato dagli adulti. Già, le regole non ci piacciono proprio e, senza grandi tra i piedi, il desiderio va subito lì, alla possibilità di seguire il proprio istinto, senza imposizioni e limitazioni.
Anche se, nella sua storia, l’uomo lo ha capito abbastanza in fretta che per vivere in società era necessario avere delle leggi. Basti pensare al Codice di Hammurabi, stilato dal re babilonese più di 3mila anni fa e inciso su una stele di diorite (roccia) oggi conservata al Museo del Louvre, a Parigi. E anche in democrazia le leggi sono fondamentali, perché segnano il confine tra la libertà individuale e quella degli altri: sono come un libretto d’istruzioni della giusta convivenza.
Quindi, anche senza adulti, forse, non potremmo fare a meno di regole perché sarebbe il caos, l’anarchia. Potremmo però farle diverse, più a nostra misura. Meno ingiuste di come spesso ci appaiono quando vengono calate dall’alto. E, sicuramente, avendole scritte noi, sarebbero più chiari il significato, la finalità e l’utilità.
Senza adulti non significa senza un “governo”. Anche nella fantasocietà che ci immaginiamo servono un capo e un’organizzazione. E come hanno descritto gli scrittori Fabio Geda e Marco Magnone nella saga Berlin (storia ambientata in una Berlino abitata solo da ragazzi) ce la si può cavare solo se si trova una forma di accordo e di alleanza.
Sta quindi a noi, in assenza dei grandi, trovare il modo per eleggere un leader: potrebbe essere il più votato da tutti o il più bravo a scuola, il più capace a parlare o quello più abile con il computer. Ma la fantasia non ha limiti: potrebbe essere il più veloce a correre o il più intonato a cantare, il più alto della classe o quello con i vestiti più colorati. Il bello di una società tutta da inventare è: quale soluzione adottare per il bene del gruppo.
«Te l’avevo detto», «Quando ero bambino io…», «Hai preso la giacca che viene freddo?», «Asciugati bene i capelli!», «Ma come, devo già farti un’altra ricarica?». Quante volte abbiamo sentito queste parole uscire dalla bocca dei nostri genitori! Eh sì, zero fantasia: la playlist delle frasi che utilizzano ogni giorno è proprio monotona.
Ecco un elenco (incompleto) di tutto ciò che, finalmente, non ci sentiremmo più noiosamente ripetere in un pianeta adult free! Pronti allora a premere il tasto “canc”?
Niente scuola! La vita senza adulti la vediamo soprattutto così: senza banchi, senza libri e senza compiti. Magari?! Beh, insomma… parliamone! Un’istruzione è necessaria e cancellare la scuola non sembra proprio una grande idea, anche solo per rispetto verso gli oltre 120 milioni di bambini e bambine nel mondo che ogni anno a scuola non ci possono proprio andare.
Però, in mancanza di professori, potrebbe essere l’occasione per disegnarci delle lezioni a nostra misura: orari elastici, inizio delle lezioni a metà mattinata, aule belle e accoglienti, materie da scegliere tra ciò che interessa, zero compiti a casa e zero interrogazioni. E, soprattutto, bye bye voti! E in cattedra chi ci andrebbe? Si potrebbe fare un po’ a turno: a rotazione, chi ha conoscenze e competenze diventa docente il tempo necessario a insegnare quello che meglio sa.
Imparare a cucinare la pasta alla carbonara. Scoprire come si fa ad aggiustare la catena della bicicletta. Capire come stirare una camicia, coltivare una pianta di pomodoro o suonare un accordo di chitarra. Non sappiamo fare qualcosa e non ci sono adulti nei paraggi? Nessun problema: in rete si trova un tutorial su tutto! Non a caso l’espressione How to…, cioè “Come si fa…”, è una delle più cercate su Google.
Ma basta il Web per sostituire il sapere dei grandi? I tutorial sono sicuramente utili, ma non insegnano, addestrano: trasmettono delle istruzioni, una sorta di algoritmo sempre uguale. Raramente danno spazio agli errori, alla creatività, alle emozioni e al dettaglio: insomma, sono avari di cuore ed esperienza. E in questo fantamondo si sentirebbe un po’ la mancanza degli adulti.
Meno tempo libero e una gran fatica: ci toccherebbe fare un sacco di cose che ora fanno gli adulti. E nessuno ci darebbe la paghetta. Ecco 5 motivi per preferire un mondo con gli adulti.
Cucinare, lavare i piatti, fare il bucato, stendere, aggiustare quello che si rompe… Sì, vero: ogni tanto diamo una mano, ma fare tutto questo ogni giorno è una gran scocciatura. Per fortuna ci sono gli adulti…
In un mondo senza adulti da dove arriverebbero i soldi? In attesa di trovare un accordo sul baratto, accontentiamoci di quello che abbiamo: alla paghetta di mamma e papà meglio non rinunciare.
Computer, Wikipedia e tutorial non ci cascano: impietosire gli adulti invece è moooolto più facile. Per farsi aiutare nei compiti sono una risorsa irrinunciabile: sprecarla sarebbe un peccato.
A scuola, al corso di musica, in palestra o al parco: possiamo muoverci a piedi, in bici o con i mezzi pubblici, ma a volte un passaggio in auto è proprio indispensabile. E in quei casi avere nei dintorni un adulto da usare come taxi è… troppo un vantaggio!
Una tempesta nel cuore della notte. Una porta che cigola… Non nascondiamolo: il nostro cuore batte forte per la paura. Meglio avere un adulto vicino, per rifugiarsi in un suo abbraccio.
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L'11 settembre non ricordiamo solo l'attentato alle Torri Gemelle, ma anche il colpo di stato in Cile che segnò l'inizio di una lunga dittatura militare e che è considerato uno degli episodi più rappresentativi della Guerra Fredda. Ma cosa accadde di preciso quel giorno?
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L’11 settembre non è solo l’anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle a New York. Ben 28 anni prima, nel 1973, un altro evento sanguinoso sconvolse la vita a un paese americano, questa volta del Sud: il Cile. L’11 settembre 1973 è infatti il giorno del colpo di stato da parte del generale Augusto Pinochet ai danni dell’allora presidente Salvador Allende. Da quella data ebbe inizio anche una dittatura che durò per 17 anni e purtroppo fu molto violenta: in totale, morirono tra le 3.000 e le 5.000 persone, circa 200.000 dovettero fuggire dal paese e moltissime furono fatte sparire senza che mai sia stato ritrovato il corpo. Ma come mai accadde tutto questo? E cosa successe quel giorno di preciso?
Durante gli anni ’70, il mondo era nel pieno di quella che venne chiamata la Guerra Fredda. Per riassumere, tutti gli Stati erano direttamente controllati oppure contesi tra due sfere di influenza, rappresentate dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica (la Russia). Queste due grandi potenze non arrivarono mai allo scontro diretto ma fecero a gara su molti altri aspetti, anche militari, allo scopo di dimostrare chi fosse il più forte tra le due. Le sfide riguardavano ad esempio la conquista dello spazio (se ti ricordi, nel 1969 Louis Armstrong divenne il primo uomo sulla Luna), oppure lo sviluppo delle armi più tecnologiche, soprattutto di tipo nucleare.
Le ragioni dell’opposizione erano ideologiche: da un lato c’erano gli Stati Uniti con quello che viene definito il blocco occidentale, dove dominava un’economia di stampo liberista e c’era pochissimo controllo da parte dello Stato; dall’altro lato invece si trovava il blocco sovietico, guidato dalla Russia, che stava esportando il modello comunista, basato sul rifiuto della proprietà privata e su un controllo statale più capillare sul sistema economico. In poche parole: le due potenze che uscivano vincitrici dalla Seconda guerra mondiale si stavano ora spartendo il mondo e ognuna di loro temeva che l’altra diventasse più forte.
Così, in questa atmosfera di forte tensione, scoppiavano spesso dei conflitti. Pensiamo ad esempio alla Guerra in Vietnam, che durò per ben vent’anni e terminò solo nel 1975, in cui il governo americano decise di sostenere il dittatore Ngo Dinh Diem per fermare l’avanzata del comunismo.
Nessun paese era immune a questa contrapposizione tra due poli, nemmeno il Cile appunto. Nel 1970 era stato eletto presidente Salvador Allende, padre della celebre scrittrice Isabel Allende, che guidava la coalizione di sinistra Unidad Popular, di ispirazione comunista e socialista. Insomma, più affine all’influenza dell’Unione Sovietica. Allende aveva battuto per pochi voti la coalizione di destra che invece era più vicina all’influenza degli Stati Uniti.
A molte parti della società cilena, il presidente eletto non piaceva. Ma soprattutto, le elezioni avevano preoccupato gli Stati Uniti. Allende decise infatti di nazionalizzare, cioè passare sotto il controllo dello stato, diverse grandi imprese e di avviare una riforma agraria che molti proprietari terrieri non gradirono. Si occupò inoltre di riformare il sistema sanitario, il sistema scolastico e di avviare un programma per la distribuzione gratuita del latte ai bambini.
Insomma, stava cambiando tutta l’economia ispirandosi ai valori del comunismo e del socialismo. In particolare, si concentrò sulle miniere di rame, un minerale di cui il suolo cileno era ricco, che portò interamente sotto il controllo dello stato cileno, togliendole alle grandi compagnie statunitensi.
Purtroppo, però, la situazione economica del paese non migliorò e nel giro di un paio d’anni, iniziarono i grandi scioperi e le manifestazioni contro il governo. I principali partiti di opposizione si coalizzarono e si unirono dal Partito Nazionale, di destra: per Allende e la sua squadra era sempre più difficile proseguire nelle riforme e far approvare le proprie leggi.
Il 29 giugno del 1973, il colonnello Roberto Souper assieme a un reggimento di militari riuscì a circondare il palazzo presidenziale, La Moneda, Fu un primo tentativo di colpo di stato (golpe, in spagnolo) che, sebbene fallì, fu determinante per gli eventi che accaddero nei giorni successivi. A luglio si verificò un altro episodio simile, che coinvolse anche gli operai delle miniere di rame. Il governo appariva ormai debole e incapace di far rispettare le leggi e l’ordine pubblico.
Si iniziò così a diffondere il malcontento anche tra l’esercito e sempre più ufficiali erano favorevoli a destituire (cioè a togliere dal suo ruolo) il presidente Allende. Il ministro della Difesa e comandante in capo dell’esercito, Carlos Prats, fu costretto a dimettersi e al suo posto indicò un generale che riteneva fedele: Augusto Pinochet.
Alle 6:30 del mattino dell’11 settembre 1973 a Santiago del Cile iniziò ufficialmente il colpo di stato, con alcune navi della marina militare che occuparono il porto di Valparaíso, sull’Oceano pacifico e l’arresto dell’ammiraglio Raúl Montero Cornejo, fedele al presidente Allende. Ma Allende non capì cosa stesse accadendo fino alle 8:30, quando ormai era troppo tardi.
L’esercito aveva già preso il controllo delle stazioni radio e tv, ad eccezione della radio Magallanes del Partito comunista cileno. È importante perché proprio da qui il presidente Allende parlerà per l’ultima volta alla nazione. I militari ordinarono infatti che il palazzo de La Moneda venisse evacuato entro le 11 o sarebbe stato attaccato. Allende si rifiutò, come disse lui stesso nell’ultimo intervento: «Non mi dimetterò. Pagherò con la mia vita la lealtà della gente». Alle 14 del pomeriggio, poi, si tolse la vita.
Da quel giorno ebbe inizio un periodo molto buio per la storia del Cile: salì al potere una giunta militare presieduta da Augusto Pinochet, che sospese la Costituzione, cioè la legge fondamentale dello Stato, sulla quale si basano tutte le altre leggi promulgate dal Parlamento e tutti i diritti riconosciuti ai cittadini. Eliminò i partiti, non solo quelli di sinistra, impose la censura alla stampa affinché non diffondesse notizie contro il regime, mise al bando scioperi e manifestazioni contro il governo, e prese il controllo di tutti gli apparati che formavano la macchina dello stato. Una dittatura in piena regola.
Ogni persona che si pensava potesse opporsi a Pinochet, veniva arrestata, torturata e in seguito uccisa. Chiunque poteva considerarsi un nemico interno e spesso veniva condannato a morte senza alcun processo. Sorsero improvvisamente più di 1.100 centri di detenzione in tutto il Paese che avevano lo scopo di cercare ed eliminare chi non la pensava come voleva il governo.
Ma il simbolo di questo sistema violento fu sicuramente lo stadio nazionale di Santiago del Cile, trasformato in un’enorme prigione: arrivò a contenere fino a 7.000 persone in una volta, che venivano detenute e costrette a dormire in quello spazio senza coperte, senza servizi igienici e sotto la continua minaccia di torture e morte.
È difficile avere un numero preciso di quante persone morirono in quegli anni. Era infatti molto diffuso il fenomeno dei desaparecidos: persone che venivano arrestate e poi fatte sparire nel nulla. Oggi abbiamo solo cifre indicative da parte della Commissione della Verità e Riconciliazione del Cile: 2.125 sono le morti accertate (ma si pensa che siano molte di più), 1.102 le sparizioni riconosciute, 307 i corpi ritrovati, 31.000 le persone torturate e perseguitate.
Nel 1974 Augusto Pinochet prese definitivamente il potere e passò da capo della giunta militare a Capo Supremo della Nazione. A partire dagli anni Ottanta, però, il regime entrò in crisi soprattutto per le difficoltà economiche che stava vivendo il paese. Nello stesso tempo, si andava verso la fine della Guerra Fredda e del mondo diviso in due blocchi. Iniziarono delle proteste di massa contro il governo, ormai indebolito, e soprattutto fu indetto uno sciopero generale.
Nel 1988 Pinochet indisse un referendum per far scegliere ai cittadini se farlo rimanere in carica come presidente per altri 8 anni: con sua sorpresa, vinse il “no”. L’anno successivo si tennero le prime elezioni libere dopo il periodo della dittatura. Pinochet però rimase in Cile come capo delle forze armate e poi come senatore a vita, per essere certo di avere l’immunità parlamentare, cioè di non poter essere condannato per decisioni o fatti che aveva compiuto mentre rivestiva la sua carica politica.
Nel 1998 un giudice spagnolo, Baltasar Garzón, emise un mandato di cattura internazionale contro Pinochet, perché tra le vittime della dittatura vi furono anche cittadini spagnoli. Fu poi arrestato a Londra, ma non venne mai condannato. Morì nel 2006, a 91 anni a causa di un attacco di cuore. Il generale non si pentì mai dei crimini che aveva commesso, eppure ancora oggi si cercano i corpi dei desaparecidos e si prova a ricostruire cosa accadde a migliaia di cittadini cileni in quegli anni.
FONTE: Treccani
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A 13 anni finì ad Auschwitz. Liliana Segre ci ha raccontato come la sua vita si trasformò in un incubo.
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«Il mio viaggio verso Auschwitz è iniziato tanto tempo fa…». Liliana Segre è nata il 10 settembre del 1930 e oggi ha 94 anni. È senatrice a vita della Repubblica Italiana, ma il 30 gennaio 1944, quando si ritrovò su un carro bestiame al Binario 21 della Stazione Centrale di Milano, era solo una spaurita 13enne.
Da questo binario, tra il 1943 e il 1945, partirono 15 convogli stipati di migliaia di ebrei destinati alle camere a gas, a causa della persecuzione nazifascista. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati nei campi di concentramento, sopravvissero solo Liliana e altri 24.
«Era l’11 settembre 1943. Avvenne allora la mia prima separazione dagli affetti familiari. Quel giorno feci la valigia e partii con il signor Pozzi, sfollato in Val d’Ossola, in Piemonte» ci ha raccontato Segre.
Il signor Pozzi era un fornitore della ditta tessile del padre di Liliana, che dopo l’emanazione delle leggi razziali si offrì di aiutarli. «In quel piccolo bagaglio – ricorda Liliana – misi una specie di quadernone rilegato che si chiamava Album dei Ricordi e in cui le mie amiche avevano scritto un pensierino. Poi un maglione e delle scarpe di ricambio».
«Quel Pozzi fa parte degli amici eroici. Era venuto a prendermi per mettermi in salvo; io non volevo andare, ma mio padre mi obbligò, fu irremovibile. Il signor Pozzi e la sua famiglia mi tennero nascosta con documenti falsi per oltre un mese, finché poterono. Quando i tedeschi iniziarono a fare controlli sui documenti, mio padre capì che non ero più al sicuro».
Un’altra fuga. Un’altra famiglia. «rimasi a Castellanza, in provincia di Varese, per tutto il mese di novembre del 1943, a casa di Paolo Civelli, un amico fraterno di papà. Ma anche lì non ero a casa mia». Liliana Segre rivide il padre quando cercarono di fuggire in Svizzera con un permesso della questura di Como. «Un documento che si rivelò carta straccia» ricorda. «Andammo al confine come richiedenti asilo, ma ci ricacciarono indietro perché non ci credettero. Per quella guardia di frontiera eravamo dei bugiardi: non era vero che gli ebrei in Italia venivano perseguitati. Così fummo arrestati».
Così Liliana e suo padre finirono in carcere: prima a Varese, poi a Como, infine a San Vittore a Milano. Lui nel reparto maschile, lei in quello femminile, sola, senza nemmeno più la sua valigia e il suo album: «non avevo più nulla, nemmeno gli indumenti di ricambio. Ricordo solo una grande sporcizia e l’impossibilità di fare il bucato. Quando arrivò l’ordine di deportazione, capii che il bagaglio non mi sarebbe più servito».
Il resto è la storia del viaggio verso il campo di concentramento di Auschwitz: «Dal vagone piombato non potevo vedere nulla, solo percepire l’alba e il tramonto, avevo perso la cognizione del tempo non sapevamo dove stavamo andando, dove ci avrebbero portati, intuivo solo che quello sferragliare delle ruote del treno mi allontanava sempre più da casa. Ricordo il dondolio, il buio, i miei stati d’animo. Non avevo più fame né sete».
Auschwitz si presentò agli occhi di Liliana come un’enorme spianata di neve. Intorno freddo e desolazione.
«Una volta scesi dal treno – ha scritto la senatrice nel suo libro Fino a quando la mia stella brillerà (edizioni Il battello a Vapore) – ci ritrovammo subito circondati da tanta gente: c’erano i prigionieri del campo che avevano l’ordine di smistare le valigie, c’erano i soldati nazisti che smistavano noi, le guardie con i cani al guinzaglio che abbaiavano». Da quel momento non rivide mai più suo padre. Era il 6 febbraio 1944.
Liliana fu destinata a lavorare in una fabbrica di munizioni insieme ad altre 700 donne e ragazze, che facevano i turni giorno e notte. «Mi avevano internata nel settore femminile del complesso di Auschwitz-birkenau, oggi in Polonia. Con il passare dei giorni smisi di piangere, iniziai a chiudermi in me stessa, non parlavo più».
Quell’anno e mezzo passato nel campo di concentramenti e sterminio, per Liliana resta un incubo ancora oggi. Ha tuttora ben impresso nella mente il ricordo di quando doveva mettersi in fila nuda per la selezione, della baracca dove dormiva, del vestito a righe, della stella gialla, dei pidocchi e del freddo. Quell’inferno durò fino alla metà di gennaio del 1945 quando, con l’avanzare dei russi, i nazisti decisero di evacuare il campo.
Lei, insieme agli altri prigionieri, iniziò una marcia di settimane fino al campo di Malchow, in Germania, dove restò fino all’aprile del 1945.
La liberazione arrivò il 1° maggio: «non potevamo crederci» racconta Liliana Segre «eravamo esauste ma di una felicità che, ancora oggi, non saprei descrivere per quanto era grande. Sono potuta tornare in Italia quattro mesi dopo, alla fine di agosto del 1945. Un altro viaggio in treno, ma con vagoni aperti. Era estate ed eravamo ancora vivi». Incredibilmente vivi.
Oltre a Fino a quando la mia stella brillerà, il libro autobiografico pubblicato con cui Segre ha voluto raccontare la sua storia ai più piccoli, ci sono diversi altri libri che parlano di lei.
Nel 2015 ha ripercorso le vicende drammatiche che hanno segnato la sua vita a partire dall’introduzione delle leggi razziali in Italia e dalla sua espulsione a scuola in quanto alunna ebrea nel libro La memoria ci rende liberi, scritto con Enrico Mentana. Nel 2022 invece viene pubblicato La sola colpa di essere nati, in cui la senatrice e l’ex magistrato Gherardo Colombo non solo discutono dei fatti storici di quegli anni, ma si chiedono anche quale sia la differenza tra giustizia e legalità e insistono su quanto sia importante non voltare mai lo sguardo davanti alle discriminazioni.
Nel 2018 con Scolpitelo nel cuore, usa la sua storia personale come ponte per parlare delle vicende che riguardano la contemporaneità sottolineando la sua condizione di profuga, clandestina, rifugiata e schiava lavoratrice.
Il 1° ottobre 2024 uscirà infine Liliana Segre, una vita contro l’indifferenza, edito da Einaudi Ragazzi, scritto da Federico Gregotti, allo scopo di tenere viva la sua testimonianza soprattutto per i lettori che hanno dai 9 anni in su.
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Jannik Sinner è nato a San Candido, un piccolo comune della provincia autonoma di Bolzano, in Trentino Alto Adige, il 16 agosto 2001. La sua famiglia è di madrelingua tedesca
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Da quando, lo scorso 4 giugno, Novak Djokovic si è ritirato dal Roland Garros, il tennista sudtirolese Jannik Sinner è diventato il numero 1 al mondo nella classifica ATP e il primo italiano a raggiungere questo traguardo nel tennis. Ora, con la conquista degli US Open, ha messo in fila la sesta vittoria su sei finali giocate, di cui due in un torneo del Grande Slam. Ma è già tempo di nuove sfide: dopo un paio di settimane di pausa, potremmo rivedere Sinner all’Atp 500 di Pechino (dal 26 settembre al 2 ottobre) e subito dopo al Master 1000 di Shanghai (fino al 13 ottobre), infine gli Atp Finals di Torino (10-17 novembre) e le finali di Coppa Davis a Malaga (19-24 novembre). Allora conosciamo un po’ meglio questo campione: chi è Jannik Sinner?
Jannik Sinner è nato a San Candido, un piccolo comune della provincia autonoma di Bolzano, in Trentino Alto Adige, il 16 agosto 2001. La sua famiglia è di madrelingua tedesca (suo padre si chiama Hanspeter e sua madre Siglinde) e ha un fratello adottivo di nome Mark.
Non sembrava, da piccolo, che il suo talento fosse nel tennis, quanto piuttosto nello sci, disciplina che ha praticato fin dai 4 anni di età vincendo anche premi nazionali. A otto anni iniziò a praticare anche il tennis a Bolzano, e dagli 8 ai 13 anni si cimentò contemporaneamente in entrambi gli sport, fino a scegliere definitivamente il tennis.
Jannik Sinner ha 23 anni ed è già uno dei più forti tennisti italiani di sempre.
Insieme a Matteo Berrettini, Jannik Sinner è l’unico italiano ad aver disputato almeno i quarti di finale nei quattro tornei del Grande Slam.
La sua strada da professionista inizia ufficialmente nel 2014, quando si trasferisce a Bordighera per essere allenato da grandi maestri come Riccardo Piatti (che ha allenato anche Novak Djokovic) e Andrea Volpini.
Dal 2020 vive nel Principato di Monaco. Nel 2019 ha vinto il suo primo titolo nel circuito Challenger (a Bergamo) e le Next Gen Atp Finals ed è diventato il più giovane tennista di sempre ad entrare tra i primi 80 della classifica mondiale. È stato eletto “Tennis rivelazione dell’anno”.
Nel 2020 ha vinto il suo primo titolo ATP a Sofia e raggiunto gli ottavi di finale del Roland Garros, entrando tra i primi 40 del mondo.
Il 2021 è stato l’anno in cui è emerso. Ha vinto il torneo Atp di Melbourne, è stato finalista a Miami, semifinalista a Barcellona, poi è arrivato ancora agli ottavi del Roland Garros, ha vinto il torneo ATP di Atlanta e raggiunto gli ottavi di finale anche agli US Open.
Ha vinto di nuovo il torneo di Sofia e quello di Anversa: risulta il più giovane tennista della storia, dopo Djokovic, ad aggiudicarsi cinque tornei ATP. Nella Top Ten mondiale, ha raggiunto il nono posto della classifica.
Nel 2022 ha raggiunto i quarti di finale in tutti e quattro i tornei del Grande Slam, impresa riuscita prima di lui in Italia da Matteo Berrettini. Ha vinto il torneo di Umago battendo in finale il suo rivale, e futuro numero 1 al mondo, Carlos Alcaraz.
Nel 2023, Sinner ha vinto il torneo di Montpellier e perso in finale a Rotterdam sconfitto da Medvedev. È stato semifinalista ad Indian Wells, finalista a Miami, semifinalista a Monte Carlo. Ha raggiunto la semifinale al mitico torneo di Wimbledon, sconfitto da Djokovic. Ha vinto il prestigioso torneo di Toronto e quello di Pechino, in cui ha sconfitto Alcaraz e Medvedev. Ha vinto anche a Vienna superando di nuovo in finale Medvedev, conquistando così il suo decimo titolo ATP e diventando il numero 4 al mondo. A novembre di quell’anno vince la Coppa Davis con l’Italia.
Nel novembre del 2023, l’Italia del tennis vince la Coppa Davis dopo 47 anni grazie soprattutto a Sinner che batte per due volte Novack Djokovic (l’ex numero uno al mondo) e poi vince la finale contro l’Australia. L’Italia può così alzare l’ambita insalatiera, come viene chiamata la coppa consegnata ai vincitori.
Il 26 gennaio 2024, Sinner ha battuto Novak Djokovic per la terza volta negli ultimi quattro incontri ed è il primo italiano a raggiungere la finale degli Australian Open. L’azzurro ha battuto il serbo numero uno al mondo in quattro set (6-1, 6-2, 6-7, 6-3), nell’attesa di sapere chi sarebbe stato l’avversario successivo tra Daniil Medvedev e Aleksander Zverev.
Il 28 gennaio è una domenica e Jannik Sinner fa la storia: vince gli Australian Open, un’impresa che nessun altro tennista italiano aveva mai portato a casa.
Djokovic rimane però il campione da battere, il numero uno nella classifica ATP, quella che riunisce tutti i tennisti professionisti uomini (le donne invece rientrano nel ranking WTA, il corrispettivo femminile dell’ATP).
Dopo averlo battuto per tre volte in quattro incontri consecutivi, Jannik Sinner è pronto a sfidare Novak Djokovic sui campi del Roland Garros, ma il tennista serbo si ritira: non si è ancora del tutto ristabilito dall’ultimo infortunio e non se la sente di proseguire il torneo. Per l’Italia è di nuovo una giornata storica: Sinner è il numero uno al mondo nel ranking ATP ed è il primo tennista italiano a raggiungere questo traguardo.
«È il sogno di tutti diventare n.1 al mondo, ma al contempo vedere Novak (Djokovic ndr) così è un dispiacere: gli auguro una pronta guarigione». È uno Jannik Sinner commosso quello che parla da nuovo leader mondiale del tennis. «Grazie al mio team che ha reso tutto questo possibile – ha detto il tennista azzurro – Felice di giocarla qui, è un momento speciale per me, sono felicissimo di condividerlo con voi e con chi da casa in Italia mi sta seguendo».
«Avevo detto che non avevo alte aspettative? Non è andata male, dai, qui me la sono cavata abbastanza bene», scherza Sinner subito dopo l’ennesima storica vittoria per un tennista italiano a un torneo del Grande Slam: gli US Open. Vince, dopo aver battuto in casa l’americano Taylor Fritz con tre set a zero (6-3, 6-4, 7-5) e subito attraversa le tribune dello stadio Arthur Ashe per andare a festeggiare con tutto il suo team e con la fidanzata, la tennista russa Anna Kalinskaya.
È una vittoria importantissima anche perché arriva dopo mesi difficili: prima la tonsillite che non gli ha permesso di partecipare alle Olimpiadi di Parigi 2024, poi la vicenda clostebol e l’accusa, poi smentita dal tribunale dell’International Tennis Integrity Agency, di aver assunto doping.
Sinner è dotato di uno dei migliori rovesci al mondo, ha una forza mentale eccezionale, è rapido e potente nonostante sia longilineo (è alto 1 metro e 88) e non particolarmente muscoloso.
FONTE: Wimbledon.com
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